venerdì 12 novembre 2010

Abbozzo di teoria degli spostamenti


Qui proviamo ad analizzare ciò che comporta uno spostamento partendo da ciò che incontriamo.

Incontro con l'oggetto: l'oggetto non è mai isolato, ma inserito in un insieme di pratiche. Ne conosciamo il funzionamento.
Eseguire l'oggetto è eseguire il suo continuum: ciò che funziona non si vede altrimenti il suo corpo intralcerebbe la catena che ci conduce all'esito ed allo scopo dell'oggetto. Il giocatore di biliardo deve fare corpo con la stecca e deve dimenticare la sua distinzione dall'oggetto perchè il tiro funzioni.

Incontro con la parola: la parola non è mai isolata, ma inserita in un contesto, allude ad un insieme di pratiche a cui è legata.
Nell'eseguire la parola nella sua funzione di comunicare essa deve sottrarsi, deve fare catena con le altre parole perchè la comunicazione abbia esito, le parole che sto usando non sono isolate ma tutte compongono il discorso comprensibile o meno che sia.

Veniamo agli spostamenti e concentriamoci su quelli più originari. Ad esempio lo staglio.
Stagliare significa evidenziarsi rispetto a ciò che si pone dietro per una figura terza. È un movimento reciproco ma la reciprocità è percepita a distanza. Una figura si staglia nel panorama, e la figura e il panorama assumono questo ruolo, questa distanza grazie allo staglio. Troviamo analogie di ciò nella pratica dell'indicare, indico questo e non il resto, o del nominare: questo è il nome, il resto è ciò che circonda questo nome.

Ma lo staglio non isola il nome. Lo staglio non isola la figura. Lo staglio in qualche modo non resiste al precipizio dello sfondo e dunque indico ma non devo dimenticare le conseguenze del mio spostamento.
In poesia spesso si tenta di spostare le parole, in qualche modo le si fa stagliare, rispetto alla loro funzione, così come l'orinatoio di Duchamp viene meno alla sua funzione e viene posto sull'altare dell'arte.
Ora non dobbiamo illuderci che questi oggetti vengano realmente isolati, vengono spostati e con essi viene trascinato il loro continuum.

Se si sposta un concetto o una cosa si trascineranno i lacci ed i legami del tessuto in cui questo era innervato, alcuni lacci si spezzeranno altri diverranno oblunghi mentre i finti collegamenti si scopriranno rimanere intatti. Lo spostamento non è dunque semplice ma le rovine ed i frantumi del tessuto connettivo insieme alla cosa troveranno nuovi lacci e nuovi legami, nuove giunture nel nuovo territorio.
Dal continuum è impossibile isolarsi tutto precipita dentro il panorama.
Ma cos'è lo sfondo, in cosa si retrocede,?


In realtà è questa la domanda che da importanza allo spostamento, dove sposto le cose o le parole e in che senso. Qui si evidenzia il ruolo del supporto. Il supporto è ciò che diciamo sta sotto, è il suolo di una pratica, ciò che la sorregge e alla fine sarà ciò che determina le possibilità di una pratica.
Il foglio bianco è il sottosuolo della parola scritta, almeno per ora il più efficace nelle sue evoluzioni eteree.
La parola ha come supporto la voce o il canto, i ricordi hanno come supporto la memoria.
Ora gli spostamenti da un supporto ad un altro creano conseguenze: una parola che era pacifica sopra un supporto, spostata su un altro crea notevoli problemi: lo spostamento di una parola dall'orale allo scritto ha ingenerato l'universalizzazione causando conseguenze pressoché giganti vedi esempio di Dio.

ora per quanto riguarda la poesia, il supporto del foglio è abitato in modo singolare. Diciamo che la parola esposta al bianco del foglio non ha reciso del tutto i legami ed i fili che la annettevano al tessuto orale, ed anzi nella poesia gli spostamenti tra l'uno e l'altro supporto sono continui e creano un miscuglio di continuum che permette alle parole di funzionare come ologrammi. I piani su cui funziona una poesia possono essere diversi: può funzionare come ordine o messaggio allora il corpo delle parole diverrà sottile oppure si potrà soppesare quest'ultimo allora il corpo del suono comincerà a roteare.

Fin qui si sono fatti i conti senza il soggetto, almeno esso aleggiava nascosto in ciò che dicevamo

Nello spostamento le cose perdono la prospettiva abituale che per uso s'era dimenticata. Ecco suscitare la vertigine
Per rendere l'orizzonte pacifico si tende a nullificare la vertigine in precipizi accettabili, non si nota l'abisso di un vicolo nel fianco orizzontale di una via, ma se esso fosse aperto verso il basso la visione non sarebbe così indolore.
Il primo movimento è la stasi degli orizzonti.
Un altro esempio sarebbe l'inaccettabile abisso del cielo del giorno o ancora di più l'inumano cielo stellato che solo recuperando la quiete dell'animale possiamo ammirare senza follia.

Cosa sarebbe di noi e di questi abissi senza l'ipnosi necessaria. Ecco intervenire un analgesico sintetico per consentire ai nostri occhi di subire la meraviglia insopportabile. Lo schema che nell'impatto tragico suscita orrore diviene abitudine e retrocede anch'esso nel panorama. Nemmeno la sua singolarità terribile resiste al precipizio dello sfondo.

Ma qui vediamo il movimento ipnotico in assenza di traccia, ma per vederlo interamente cioè in una forma già data come nella realtà. Lo dobbiamo sospettare dal punto di vista del sogno. Veloce scesa nell'empirico. Prendendo un farmaco ipnotico per addormentarsi nel buio degli occhi si formano in ipotesi facce, non facce distinte, ma l'una muta nell'altra come nella tuta disindividuante di un oscuro scrutare. Forma dopo forma nell'informe. Ora chiediamoci cos'è un sogno. E perchè ne siamo trascinati come in un flutto più che come in un racconto. Il sogno non è altro che la libera potenza illusoria di questo movimento ipnotico, in cui la nostra mente si disindividua tornando al flusso delle forme libere e prive di nome. Nel ricordare i sogni si fa il gioco dell'eden. Si cercano i nomi dell'informe sogno ed una volta trovato il nome ecco tutto il sogno srotolarsi in quasi chiari ricordi.
Ma torniamo agli spostamenti e cerchiamo di vedere l'importanza che il nominabile ha per questo gioco. Spostiamo solo cose che hanno un nome, ciò che non ha nome è immobile, ciò che non ha nome non esiste, anzi sono io che non esisto se non nel nome. Ma diciamo che il nome è il primo spostamento. Da cui prendo la distanza per vedere gli spostamenti successivi. E uscire dal buio ipnotico del sogno.
ciò che precipita nel panorama è ciò che precipita nell'ordine, ciò che si vuole immobile è il panorama accettabile. C'è una continua tendenza al ritorno verso l'immobile. Ogni spostamento è quel sancire l'agio la distanza da cui vorremmo sottrarci, che vorremmo dimenticare, a cui è necessaria una riparazione.

...Supplicai che le cose non fossero mosse dopo la mia partenza... era già tragico partire e al pensiero che quelle cose ora potevo consultarle solo nella memoria, pregai l'agente che non le muovesse. Dal suo punto di vista la richiesta poteva sembrare un esortazione alla pietà che io in qualche modo reclamavo, indirettamente. In realtà lui non poteva nemmeno immaginare cosa provocano davvero gli spostamenti. Il mio crimine non era uno sfogo vigliacco. Non apparteneva ad uno sbalzo patologico, ad un illecito dell'ira. Anzi era parte integrante di quell'ordine che desideravo ritornasse intatto. Il mio crimine ne fu una riparazione.”

Il sacrificio è un atto di riparazione. Ricuce il sisma inflitto dalle cose che si muovono.

2 commenti :

  1. Bello, potrebbe essere articolato anche come teoria della traduzione... bello anche il disegno. così mi piaci

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  2. Ti segnalo una cosa qui, di tuo probabile interesse:
    http://www.nazioneindiana.com/2010/11/15/la-nascita-della-scrittura-ii/#more-37069

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